Settimana sociale, il contributo degli scout cattolici

A Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimo si terrà la 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.

E’ un appuntamento fisso della Chiesa cattolica italiana, che ha cadenza pluriennale. La prima edizione si è svolta a Pistoia nel 1907. Quest’anno la settimana di studio si concentrerà sul tema Il Lavoro che vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale.

Ecco il contributo delle Associazioni scout cattoliche per le Settimane sociali.

 

CONTRIBUTO ASSOCIAZIONI SCOUT CATTOLICHE SUL TEMA DEL LAVORO

Per la Settimana sociale dei cattolici italiani 2017

(…) Ognuno di voi ha la possibilità di scoprire, nel suo lavoro, quel 5 % di divertimento. Scacciate le routine dal vostro ufficio, dalla vostra bottega, dalla vostra fattoria o dalla vostra scuola, facendo del vostro posto di lavoro un campo da gioco, amando il vostro lavoro e mettendo nella vostra professione tutto quanto potete per gli altri, invece di trarne fuori il massimo vantaggio per voi stessi.”

(Baden-Powell)

LO SCAUTISMO PER I GIOVANI E PER GLI ADULTI

Il contributo che possiamo offrire come realtà educative (giovanili e adulte) rispetto al tema del lavoro, non può essere che incentrato sul ruolo che il metodo scout ha nella crescita delle persone e nella loro educazione permanente; un metodo che, a seconda delle diverse stagioni della vita, è capace di evolversi – per essere al passo con i tempi in cui viene vissuto – mantenendo fermi gli ideali e i valori rappresentati dalla Legge e dalla Promessa Scout.

Le associazioni scout giovanili si rivolgono a fasce di età che sono ben lontane dal solo pensiero del loro futuro lavorativo; di conseguenza, esse non hanno soluzioni da offrire sotto il profilo normativo o indicazioni da suggerire in relazione a politiche sociali che possano essere adottate per migliorare le condizioni del lavoro nel nostro Paese. Dal nostro osservatorio riteniamo, tuttavia, di poter essere utili per aiutare cogliere le aspettative e i desideri delle nuove generazioni.

La sfida per lo scout adulto consiste nel riconoscere e interpretare ogni forma di cambiamento, in una continua esplorazione della città, della Chiesa e dei propri ambienti di vita, in vista dell’approccio con una cultura del lavoro fortemente mutata  ed in continua evoluzione.

Pensiamo inoltre che le nuove generazioni abbiano davanti un futuro complicato e che non siano solo le competenze (intese come capacità o conoscenze tecniche) che vadano offerte e sviluppate nei giovani.

Riteniamo che sia la persona, con la sua capacità di relazione, con lo spirito di adattamento e la sua dimensione valoriale, a fare la differenza. E’ nel difficile quadro economico che viviamo, con le sue ricadute sull’offerta e domanda di lavoro, che emerge la necessità di avere giovani formati nel “carattere”, per affrontare le sfide del domani. Lo scautismo parte dal presupposto che ciascuno possa crescere, con l’aiuto degli altri, per guidare da solo la propria canoa.

I valori incarnati dello scautismo chiedono all’adulto di essere capace di discernere, testimoniare e promuovere nuovi stili di vita, per un cambiamento personale e collettivo che salvaguardi il pianeta, il bene comune, la convivenza e la giustizia sociale, in una prospettiva di speranza per le nuove generazioni. Si tratta, sostanzialmente, di dare una diversa prospettiva alla dimensione pedagogica del metodo scout che passi, nel caso dell’adulto, dalla dimensione esperienziale alla dimensione testimoniale.

Qualche mese fa una celebre rivista economica internazionale (FORBES) ha pubblicato un articolo dal titolo “I dieci motivi per assumere uno scout”, elencando le competenze e i valori (lealtà, capacità di lavorare in squadra, onestà, ecc.) che uno scout interiorizza e sviluppa nel suo cammino educativo, al punto da renderlo particolarmente affidabile nel posto di lavoro. Non sappiamo se la ricerca legittimi questa considerazione, ma i valori e le competenze che sono declinati nella legge scout – a sua volta riflesso della legge divina – costituiscono il sentiero di crescita proposto ai giovani che le famiglie ci affidano.

Esaminando le doti richieste da chi assume una persona, noteremo che non sono diverse da quelle che si richiederebbero in qualsiasi rapporto umano: lealtà, onestà, attenzione ai bisogni degli altri, capacità di ubbidire, infatti, ci permettono di vivere in famiglia, con gli amici, nel rapporto di coppia, ecc., costruendo relazioni significative e veramente umane.

In particolare, vogliamo mettere in evidenza quello che nello scautismo – come in altre realtà educative – si cerca di trasmettere e testimoniare ai/alle giovani perché possano inserirsi nel mondo lavorativo con consapevolezza, fiducia e ottimismo.

Il contributo, quindi, che possiamo dare per essere rispettosi di quella che è la nostra missione “educativa”, consiste nel rispetto delle regole e dell’etica, nel senso che diamo al lavoro ed ai soldi, nell’essere onesti e solidali, nel meritare fiducia.

 

IL MERITARE FIDUCIA

Baden-Powell fondò lo scautismo perché aveva capito quanto fosse importante per il ragazzo essere considerato una persona di cui fidarsi, anche durante la fase della crescita.

Nel mondo del lavoro il meritare fiducia non riguarda semplicemente un mero esercizio – sebbene indispensabile – di capacità/abilità tecniche e professionali; esso è, piuttosto, la capacità di rendersi affidabili, soprattutto nel momento in cui le circostanze superano i limiti dell’ordinarietà. La fiducia nasce, quindi, dal senso della responsabilità e dal senso dei doveri, entrambi bisognosi di essere coltivati e promossi.

Nel posto di lavoro – che si tratti di una piccola o grande organizzazione – sapere di poter contare su persone “fidate” è il primo requisito richiesto. Non è raro leggere di datori di lavoro che si lamentano perché ai colloqui di selezione si presentano persone che già al primo approccio dimostrano la loro fragilità caratteriale: se giovani, per esempio, a volte sono accompagnati dai genitori, mentre se adulti, a volte, rifiutano di sottoporsi ad un periodo di prova. Ciò mette in luce una scarsa capacità nel meritare fiducia.

Meritare fiducia richiede, quindi, un’educazione che porti la persona a rendersi affidabile, e questo avviene più facilmente se nel cammino di crescita essa ha avuto modo di rendersi responsabile di altri. Solo se abbiamo sperimentato concretamente che la buona riuscita di un progetto (incontro, evento, campo di formazione) dipende dalla nostra preparazione, dal nostro lavoro, dalla nostra disponibilità, in quel momento potremo misurare quanto siamo in grado di meritare la fiducia degli altri.

Meritare fiducia è una conquista – non scontata – che la persona acquisisce in un cammino educativo e che la prepara ad introdursi nel mondo del lavoro, con la consapevolezza che anche in questo ambito dovrà meritare la fiducia di colleghi, capi e imprenditori.

Anche nelle organizzazioni più grandi, dove il lavoro può presentarsi in modo spersonalizzato, c’è sempre qualcuno di cui dovrò meritare la fiducia, se voglio vivere la dimensione lavorativa come un tempo significativo della mia vita, e non come una parentesi quotidiana da chiudere in fretta.

Ma il meritare fiducia va oltre: esso si esplica anche nei confronti degli altri stakeholders con cui vengo a contatto (clienti, fornitori, banche) e che mi giudicheranno non solo sulla base di un mero dato economico, ma anche della mia affidabilità, serietà, puntualità, ecc.

D’altra parte, il meritare fiducia riguarda anche chi il lavoro lo offre, chi lo organizza e lo dirige (dirigenti, capi, ecc.) E’ di pochi giorni fa la notizia della morte in autostrada di due coniugi imprenditori avvenuta per il crollo di un cavalcavia. Le interviste ai loro dipendenti hanno fatto emergere un’azienda nella quale tutti si sentivano una famiglia e in cui l’affetto nutrito verso i loro datori di lavoro si è manifestato in modo commovente.

Per converso, purtroppo, è rilevante anche il numero di coloro che non meritano la fiducia dei collaboratori e non la cercano neppure, protesi solo ad un risultato economico di breve periodo, che rischia di rendere “povera” l’azienda o il servizio pubblico ad essi affidato.

Se questo è vero, anche il meritare fiducia come “capo” non è scontato e richiede un cammino di crescita che parte dall’educazione a guidare ed accompagnare gli altri  – come avviene nello scautismo – perché tutti, appunto, si sentano accolti e vengano messi nelle condizioni di portare il loro piccolo o grande contributo al benessere dell’ambiente di lavoro.

Vi sono luoghi nei quali il lavoro è duro, faticoso (anche sotto il profilo psicologico) e soggetto a monotonia nelle mansioni: a maggior ragione in queste situazioni, anche la fiducia in chi ti guida è una delle leve per rendere il lavoro più umano.

Molte volte la mancanza di fiducia o il fatto di non meritarla rendono l’ambiente di lavoro un luogo triste e nel quale le potenzialità che ciascuno potrebbe esprimere non si manifestano, privando così un’azienda o un ufficio pubblico non solo delle opportunità legate alla crescita economica, ma anche e della possibilità di rendere un migliore servizio ai propri clienti-utenti.

In tutto ciò, il meritare fiducia, da parte sua, è solo una condizione perché si possa realizzare l’altro punto che vogliamo evidenziare: COSTRUIRE RELAZIONI UMANE. Anche nel mondo del lavoro urge “costruire” persone capaci di vivere intessendo, nella reciprocità, relazioni personali, solidali e profonde.

Coloro che lavorano sperimentano, talvolta, la “necessità” di indossare una maschera, presentandosi agli altri in modo non autentico per paura di giudizi, invidie e cattiverie.

Costruire relazioni autentiche non è perciò semplice, in un ambiente che può essere anche molto competitivo e nel quale si sia indotti più ad emergere che a collaborare.

E’ noto, d’altro canto, che nelle imprese il rapporto verticale è sempre più messo in discussione: la collaborazione tra persone, infatti, nell’ambito di un lavoro di staff, è invece il modo migliore per crescere e raggiungere obiettivi, come dimostra ad esempio l’esperienza del mondo dell’ICT, dove le idee e la loro realizzazione sono prevalentemente il frutto di un lavoro di squadra.

Costruire relazioni rende, quindi, le persone disponibili ad aprirsi agli altri, e questo passa, innegabilmente, anche attraverso l’educazione nell’età adolescenziale: lo scautismo propone la vita comunitaria per la costruzione di relazioni vere, durature e belle, a maggior ragione quando si condividono le difficoltà.

E’ di tutta evidenza come nel luogo di lavoro – soprattutto in quelli più strutturati – le relazioni siano di diversa natura; ma è vero, altresì, che costruire una relazione autentica aiuta a lavorare meglio, nella consapevolezza che il lavoro è una parte significativa della vita, non la succursale dell’inferno. In ultima analisi, anche l’ambiente di lavoro diventa un luogo in cui – secondo l’atteggiamento tipico degli scout – possiamo contribuire a lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato.

 

SCOPRIRE I PROPRI TALENTI  e LA PROPRIA VOCAZIONE

La parabola dei talenti (Matteo 25,14-30) dischiude una prospettiva molto stimolante sul tema del lavoro. Oggi siamo immersi in una realtà altamente competitiva, che pervade anche il mondo della scuola e che pone la cosiddetta “eccellenza” come l’obiettivo che ciascuno deve cercare di perseguire, se vuole trovare un posto di lavoro e, quindi, essere pienamente inserito nella società.

Il messaggio evangelico, invece, ci insegna che non importa quanto tu abbia da offrire, purché tu sia disposto ad offrirlo e a condividerlo con gli altri: non è una questione quantitativa, ma qualitativa. In questo senso, l’azione educativa dello scautismo è rivolta a fare in modo che ogni persona scopra i propri talenti e la propria vocazione attraverso un percorso di educazione permanente, vissuto nel respiro della realizzazione della propria vocazione, intesa come ricerca della pienezza di vita e compimento del sogno unico e irripetibile di Dio su ciascuno.

Lo scautismo guarda a tutta la persona: a partire da questo approccio, il percorso educativo che esso propone non è rivolto soltanto a scoprire i talenti intellettivi o manuali, piuttosto che quelli artistici o sportivi. Riteniamo che questa sia una carenza del percorso scolastico, nel corso del quale l’adolescente sovente non ha modo di capire quali siano le sue effettive potenzialità. A questa constatazione risponde la natura “integrativa” della proposta educativa scout.

Non si tratta, in altre parole, di selezionare dei “campioni”, come invece avviene in altri ambiti, con la conseguenza di emarginare chi non è adatto – o non è in grado di raggiungere certi livelli – quanto, piuttosto, di evidenziare quali potenzialità si possano sviluppare o quali carenze si debbano colmare in ciascuno, senza creare “scarti” o, più frequentemente, indurre a compiere scelte affrettate e inadatte al singolo.

 

GIOCARE IN SQUADRA e DIVENTARE “CAPO” 

La collaborazione, la condivisione della fatica, lo scambio di esperienze e competenze sono elementi fondamentali, che convergono nella capacità di lavorare in un team: si tratta di una competenza importante, che va costruita e coltivata. Nello scautismo il piccolo gruppo (sestiglia, squadriglia, pattuglia, comunità) è da sempre la struttura che consente un’educazione efficace anche in questo ambito.

Nello scautismo si apprende il valore e l’importanza dello spirito di squadra e della collaborazione di gruppo per il raggiungimento di risultati validi: da soli non si va da nessuna parte, e per conseguire obiettivi importanti occorre contrastare l’individualismo, come anche il soggettivismo egoistico e narcisistico.

In quest’ottica, esso educa alla dimensione della responsabilità di ciascuno nei confronti degli altri, non solo per raggiungere un risultato ma per crescere insieme, in uno spirito di servizio che anche nel mondo del lavoro diventa significativo.

A conferma di ciò, vale la pena ricordare, infine, che sono presenti molteplici proposte formative nell’ambito motivazionale e del team building, organizzate in ambiente “outdoor” e non formale, che prendono spunto proprio dal metodo scout; come anche il fatto che lo stile e l’impostazione della vita all’interno delle realtà scout, con le sue fasi di progettazione, realizzazione e verifica, diventa propedeutico allo sviluppo di una sana mentalità imprenditoriale.

Un altro aspetto che il percorso educativo scout sviluppa per aiutare la persona a prepararsi al mondo del lavoro è la chiamata ad un ruolo di responsabilità nei confronti dei più piccoli.

Chi è inserito nel mondo del lavoro capisce quanto sia importante che le persone chiamate a ruoli di coordinamento e responsabilità siano uomini e donne capaci di infondere motivazione e di riconoscere il merito, nella radicale consapevolezza della dignità di ciascuno.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

Affidarsi al Signore e costruire con Lui un’autentica relazione sono atteggiamenti che il cristiano vive nel percorso di Fede.

Il messaggio cristiano, di cui siamo portatori, può diventare cultura e illuminare la politica proprio a partire dal rispetto per l’uomo, per la sua dignità e per i suoi diritti, in primis dai luoghi e dagli ambienti che abitiamo.

Ci sono, nello scautismo, percorsi di crescita personale che portano il/la giovane a scoprire i propri talenti e a maturare una vocazione: questo cammino parte sempre da una fiducia, data e ricevuta, e dalla costruzione di buone relazioni con i coetanei e gli adulti.

Pensiamo che sia indispensabile offrire ai giovani un percorso formativo in cui sviluppino alcune caratteristiche che consentano alla persona di avvicinarsi al mondo del lavoro in modo più preparato e consapevole; che la facciano crescere non solo nella competenza – parola oggi di gran moda – ma soprattutto nella sua umanità, perché anche nel luogo di lavoro possa esprimere le sue ricchezze piccole o grandi.

Per le persone che ritengono di aver incarnato nel loro cammino di crescita i valori scout, non è sufficiente fare esclusivo affidamento sulla loro responsabilità di singoli, ma è un dovere impegnarsi per attivare processi di cooperazione con tutti gli attori in campo: lavoratori, sindacati, imprenditori, governo e istituzioni, sia a livello locale che a livello nazionale.

Il lavoro deve essere espressione di legalità: non è più a lungo sopportabile, infatti, il fatto di vedere i ragazzi convinti che non esiste un futuro per loro, essendo tutto in mano sia alla raccomandazione che al lavoro sommerso e che sfrutta. E’ necessario un cambio di mentalità a tutti i livelli; una riflessione sulla giustizia della ripartizione dei proventi del lavoro, recuperando un’equità che possa dare anche una dignità ad ogni persona.

Sono interessanti queste parole di Benedetta Giovanola dell’Università di Macerata: «… ai fini della realizzazione umana, è importante la realizzazione nel lavoro, perché l’alienazione economica è alla base di tutte le altre forme di alienazione; questa realizzazione nel lavoro è tuttavia necessaria ma non sufficiente; per potersi realizzare nella propria pienezza antropologica, è necessaria una ricchezza di bisogni umani, ed è necessario l’espletamento di attività che non siano esclusivamente volte alla produzione, ma che abbiano a che fare anche e soprattutto con lo stare insieme agli altri, quindi con lo sviluppo della propria dimensione socio-relazionale e della propria capacità di riflessione, di analisi critica. È questo tipo di ricchezza che ci consente di capire se anche la ricchezza materiale che produciamo sta andando nella giusta direzione».

Se il lavoro è un aspetto importante della nostra identità, occorre che ciascuno lo consideri nell’ottica di un’adultità che deve essere generativa, nella quale la realizzazione di sé passa attraverso un progetto capace di far uscire, andando oltre se stessi, per trovare la capacità di dare il proprio contributo al bene comune e alla formazione di una società più giusta, in cui ognuno può dare anche più dignità alla propria vita.

Le esperienze educative e formative rivolte alla crescita della persona, come quelle offerte dallo scautismo, ci chiamano ad abitare i luoghi del lavoro, il tempo e gli altri ambienti vitali, in modo diverso, per offrire alla società e alla chiesa la testimonianza credibile di una vita che diventa profezia.

 

Roma, 12 Giugno 2017

 

Sonia Mondin                                                 Antonio Zoccoletto                           Barbara Battilana  e Matteo Spanò

Presidente MASCI                                         Presidente FSE                                   Presidenti AGESCI          

                                                       

Mons. Guido Lucchiari                                 Don Paolo La Terra                          P.Davide Brasca

Assistente MASCI                                          Assistente FSE                                    Assistente AGESCI

                                                                                                              

 

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