Cinquant’anni fa la tragedia del Vajont, l’intervento degli scout

La notte del 9 ottobre 1963 nel giro di pochi minuti 1910 persone di tutte le età furono sottratte per sempre alle ultime occupazioni della giornata, al sonno, alla vita. Fu un disastro immane, orribile, che non ha termini di paragone. Il paese di Longarone con le sue frazioni, in provincia di Belluno, scomparve per sempre sotto un’onda paurosa di acqua, fango, detriti che poco dopo prese la via del Piave col suo carico di vittime. Poi fu il silenzio. Irreale.

Subito si pensò al crollo della diga del Vajont, grande opera assai controversa, avversata dagli abitanti – voci inascoltate – fin dal suo progetto. La diga però aveva retto. Oggi, inutile, severa e ammonitrice si offre allo sguardo distaccato dei turisti. Il monte Toc – in lingua friulana bacato, marcio – scaricò quella notte nel lago artificiale una massa franosa di circa 260 milioni di m3 alla velocità di 90 km all’ora che generò un’onda d’acqua di dimensioni enormi che dopo aver toccato a monte i paesi di Erto e Casso, si abbatté a valle su Longarone.

I rover dell’ASCI – ma anche le scolte dell’AGI – furono tra i primi a intervenire. Alla spicciolata. Autonomi. Senza ordini dall’alto. La loro fu un’opera encomiabile, generosa, caratterizzata da forte spirito di servizio. Raggiunta la zona colpita dal disastro le incombenze che toccarono ai primi soccorritori furono pesantissime, dato che spettò loro, giovani di neanche vent’anni, non solo il compito del  ritrovamento dei cadaveri – sfigurati oltre ogni immaginazione – ma anche quello della ricomposizione dei poveri resti e l’opera di aiuto e conforto ai sopravvissuti per il riconoscimento delle salme. Un lavoro durissimo, sconvolgente, svolto in silenzio. Nella fase successiva alla prima emergenza gli scout e le scolte furono presenti in alcune colonie per offrire assistenza alle persone sfollate dal luogo del disastro. Per l’apporto dato in quel frangente l’ASCI meritò la medaglia di bronzo al merito civile.

Il 18 maggio a Longarone, su iniziativa del centro Studi e Documentazione Scout “Don Ugo De Lucchi” di Treviso, nell’ambito di un convegno riuscitissimo, presenti più di 700 persone, si è voluto fare memoria di quell’evento luttuoso e ricordare l’apporto dato dagli scout allora.

Parole di benvenuto, sgorgate dal profondo, sono state porte dal  sindaco di Longarone, Roberto Padrin, seguito dal vice prefetto Nicola De Stefano. E’ stato letto un messaggio del vescovo di Belluno monsignor Giuseppe Andrich.

I lavori del convegno sono stati introdotti da Roberto Pizzolato. Sul palco, presentate da Andrea Padoin e da Stefano Zanatta, si sono avvicendate alcune persone che hanno rievocato, di fronte a un uditorio attentissimo, la loro esperienza di cinquant’anni fa: Veniero Galvagni di Mel (BL), Gianni Garotta di Milano, Bernardino Ragni ed Enrico Biagioli di Spoleto, Gianni Tosello e Lino Bianchi di Treviso, Luciana Trotter e Sandra Chinaglia di Mestre. Io ero tra loro, preso da un’ emozione fortissima che non mi ha lasciato che a sera. So di non essere stato il solo a provarla.

Una voce fuori campo ha letto, tra il silenzio profondo del pubblico, un racconto delicato, ambientato nei luoghi della sciagura, di don Annunzio Gandolfi, allora Assistente Ecclesiastico Centrale alla Branca Esploratori dell’ASCI.

Carlo D’Argenzio ha intervistato in seguito Nicoletta Orzes in rappresentanza dell’ FSE, Alberto Fantuzzo, già Presidente dell’ AGESCI e Francesco Bianchini del Dipartimento Protezione Civile del Veneto.

Applausi scroscianti hanno accolto sul palco il maestro De Salvador, commissario dell’ASCI al tempo della tragedia e Rino Dolce, che reggeva la vecchia bandiera verde dell’associazione.

Molto bene ha fatto il Centro Studi di Treviso nel dare alle stampe il testo Preparati a servire. L’intervento scout al Vajont – 1963, Tipografia Piave Editore, Belluno. In veste tipografica eccellente, curato da Andrea Padoin, membro del Centro Studi trevigiano, il libro, presentato al convegno, offre una panoramica a 360 gradi sull’apporto generoso degli scout in quel triste ottobre di cinquant’anni fa. Le pagine, accompagnate da un ricco apparato iconografico, contengono accanto alla cronaca anche spunti di riflessione sul significato del servizio in ambito scout. Alcuni passi del libro sono piuttosto crudi, specchio di una realtà che fu davvero tale, ma è giusto che di quell’esperienza siano stati presentati anche gli aspetti più difficili da raccontare e che, ne sono sicuro, la maggior parte dei soccorritori di allora ha conservato, per pudore, nella profondità del proprio animo.

L’opera, curatissima, merita ampia diffusione, oltre il contesto delle associazioni scout. Da quelle pagine il profano di cose scout potrà comprendere quanto risibile sia la visione, ahimè fin troppo diffusa, dello scout che per compiere la buona azione quotidiana costringe la vecchietta neghittosa ad attraversare la strada. Se una generosa, splendida buona azione venne fatta dagli scout, ciò avvenne in quel lontano, indimenticabile ottobre.

Nessun commento a "Cinquant'anni fa la tragedia del Vajont, l'intervento degli scout"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.